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  1. Allegory
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    L’alba sorgeva simile a nebbia fumosa, appannando le finestre e impolverando il cielo chiaro di una caligine dorata, l’araldo del sole che sarebbe sorto da lì a poco.
    La ragazza bionda vagando per il castello, inquieta, per gran parte della notte, si era infine ritrovata davanti alla statua di un gargoyle, occhi di pietra fissi e malevoli e un ghigno che sembrava esprimere uno scherno segreto rivolto tutto a lei.
    Il piccolo professor Vitious, comparve dal fondo del corridoio, stropicciandosi gli occhi con le manine rugose e quando la vide ebbe un sorriso educato appena velato di curiosità – Buongiorno signorina McFays –
    - Professore – disse lei, rauca come se poche ore di silenzio le avessero scolorito la voce – Buongiorno -
    Vitious passò oltre e lei finse di non vedere la sua espressione perplessa.
    Mormorò una parola sommessa e il gargoyle fece un balzo di lato scoprendo un accesso che dava su una scala che si snodava come un nastro verso l’alto, verso la porta contrassegnata dal battente a forma di grifone.
    L’ufficio del Professor Silente era invaso da quella luce velata che saliva dalla neve verso il cielo, lattea, diafana; piccoli sbuffi di delicati strumenti argentei che borbottavano dolcemente nel silenzio, tintinnare di vetro sottile e il russare sommesso dei quadri dei vecchi presidi di Hogwarts.
    Lei scostò una sedia e vi si lasciò cadere, i gomiti sulle ginocchia, la faccia nascosta tra le mani, le dita che premevano sulla fronte e sulle tempie, con una forza silenziosa che, se non si fosse trattato di lei, sarebbe parsa sintomo di un profondo scoraggiamento.
    Quando alzò lo sguardo, in alto, verso il soffitto, in direzione della zona alta e autorevole che era l’unico rango che ormai potevano vantare quegli invitati, morti secoli or sono, alla vita della scuola, incrociò un sorriso arcano sotto baffi sottili e ben curati, occhi scuri e acuti come spilli.
    - Buongiorno, nonno -
    Questa volta la sua voce risuonò limpida come i raggi del sole che disperdevano la caligine mattutina dal cielo.
    - Buongiorno, Narcissa -

    Quando Gregory Goyle aveva sentito per la prima volta quella cosa mentre guardava Tracey Davis, il suo primo pensiero era stato che forse doveva smetterla di mangiare tutti i santi giorni una quantità di dolci che equivaleva alle scorte di magazzino semestrali di Mielandia.
    Era cominciato come un dolore allo stomaco, qualcosa tra un pugno e una strizzata feroce, contornato da altri sintomi quali i sudori freddi, tremori, annebbiamento della vista, che lo avevano fatto immediatamente pensare a una congestione gastrica che lo avrebbe presto portato a fare compagnia a creature quali il Barone Sanguinario.
    Madama Chips lo aveva rassicurato sullo stato della sua salute fisica, Tiger che, con un insolito conato di intuizione, aveva capito al volo, si era sentito di rassicurarlo un po’ meno su quello della sua salute mentale.
    Adesso, mentre allarmanti voci su un presunto scambio di persona tra Tracey Davis e Bellatrix Black Lestrange cominciavano a diffondersi per il dormitorio di Slytherin insieme alle solite, trite, barzellette sui Gryffindor; adesso che la Caposcuola Pansy Parkinson si era richiusa nel bagno delle femmine fumando una quantità di sigarette che avrebbe fatto venire i complessi di inferiorità anche a Daphne Greengrass, Goyle aveva compreso di trovarsi in una situazione alquanto delicata.
    Sì, perché mostrando un buon senso che nemmeno un troll gli avrebbe riconosciuto, aveva cominciato a domandarsi di chi si fosse effettivamente innamorato, se di Tracey Davis oppure di Bellatrix Lestrange. Quest’ultima eventualità avrebbe comportato qualche consistente problema in vista del famoso coronamento del sogno d’amore, visto che la ricercata in questione era sì favolosamente bella, a quanto si diceva e a quanto sembrava dalle foto segnaletiche (che Goyle e Tiger avevano cominciato a collezionare mentre gli altri bambini erano più futilmente impegnati con le figurine delle Cioccorane), ma era anche favolosamente sposata con un tizio così bello e oscuro che, a detta di Millicent Bulstrode (che aveva un’intera collezione di foto segnaletiche dei fratelli Lestrange, roba da fare invidia alla centrale operativa Auror) incarnava il sogno proibito di ogni brava Slytherin purosangue. E che poteva competere quasi, ma Millicent ci teneva a sottolineare quel quasi, con Blaise Zabini.
    Così, alla ricerca disperata di un consiglio che gli sollevasse il cuore e lo stomaco, Goyle era andato da quello che era notoriamente considerato il maggiore esperto di donne di tutta Europa: mettendo a tacere dubbi angoscianti riguardo i suoi equivoci rapporti con Malfoy, era corso appunto da Blaise Zabini.
    Quando gli aveva timidamente domandato se ci si innamorasse dell’interiorità o dell’esteriorità di una persona, Zabini lo aveva guardato del tutto interdetto, sul momento non si era capito se per l’ovvietà della domanda o perché non sospettava nemmeno che vocaboli come interiorità o esteriorità potessero far parte del lessico di Gregory Goyle.
    Poi, serafico come al solito, aveva dato quella risposta che aveva regalato il mondo al povero Goyle.
    - Ma naturalmente dell’esteriorità! – aveva detto in tono vagamente scandalizzato, come se non riuscisse assolutamente a comprendere come a qualcuno potesse anche venire in mente il contrario.
    Così Goyle non appena veniva assalito da dubbi di sorta, correva da Zabini per rassicurarsi, interiormente sollevato dal non doversela vedere con Rodolphus Lestrange e di non doversi imparentare con Malfoy.
    Quella mattina stava appunto facendo una capatina nella stanza del settimo Slytherin, dopo aver dato sfogo a una feroce fame nervosa al tavolo della colazione, quando, giunto sulla soglia, una scena sconcertante lo fece restare letteralmente di sale e dubitare di avere aperto il suo cuore al consulente giusto.
    Zabini, con un ginocchio elegantemente posato sul pavimento, tendeva una mano verso Malfoy, in piedi davanti a lui, che lo fissava, per la verità, con un’espressione molto poco convinta.
    - E’ solo tua la scelta: spezzami il cuore o rendimi l’uomo più felice del mondo – sussurrò appassionatamente Zabini – Vuoi sposarmi? -
    - No – rispose Malfoy.
    E ci mancherebbe altro, pensò Goyle vagamente rincuorato dalla risposta.
    Zabini invece emise un sospiro sconfortato – Draco, fai un piccolo sforzo … -
    Goyle deglutì e quel rumore stile lavabo ingorgato attirò l’attenzione degli altri due che si voltarono a guardarlo, Zabini ancora genuflesso e Malfoy con una faccia tra il truce e lo scocciato andante.
    - Che cosa c’è, Greg? – domandò Malfoy.
    Goyle lo guardò, vacuo, poi guardò Zabini e di nuovo Malfoy. Farfugliando qualche parola sconnessa fece dietrofront e rimase solo il tonfo dei suoi passi pesanti che si perdeva verso la sala comune.
    Malfoy e Zabini scrollarono le spalle all’unisono poi tornarono a fissarsi.
    - Non sono molto convinto di questo metodo – commentò Malfoy.
    Zabini assunse un’aria esasperata – Ma è così che devi fare – rispose – Alle donne piace! –
    L’altro scosse il capo – Non mi convince –
    - E come vi regolate voi bifolchi nel Wiltshire? Andate dal futuro suocero e gli promettete un centinaio di pecore in cambio della ragazza? -
    Malfoy gli scoccò un’occhiata gelida – Non credo, - rispose – visto che si tratta di un babbano vorrei averci a che fare il meno possibile –
    - Questo a lei lo hai detto? -
    - Blaise, non sono idiota -
    Blaise Zabini fece una faccia che esprimeva tutta la sua perplessità su quell’ultima affermazione. Malfoy fece finta di nulla.
    – Credo che seguirò il mio istinto – disse, dignitosamente, dopo essersi schiarito la voce.
    - Malfoy, ti ricordi che cosa è successo le ultime dodici volte che hai seguito il tuo istinto? -

    ***



    I will survive
    I won't be faded like the flower fades in fall
    I can decide
    Which way I wanna live my life

    Kwan, Original Sin


    Si avvicinava il Natale e la professoressa McGranitt stava già facendo il giro per prendere la lista degli studenti che sarebbero rimasti ospiti della scuola nel periodo delle vacanze. Una discreta quantità di allievi dell’ultimo anno, appartenenti alle varie case, aveva deciso di rimanere a Hogwarts e Minerva McGranitt, pur vagamente colpita dal fatto che in tanti mostrassero di voler trascorrere a scuola l’ultimo Natale da studenti, non era del tutto persuasa della cosa e cominciava giustamente a porsi delle domande.
    Se avesse fatto caso a Tess Steeval che, incurante delle temperature che precipitavano sotto lo zero, girava in jeans e con una magliettina di un improbabile violetto con la scritta cangiante “Celestina in love”, forse avrebbe avuto le risposte.
    Oltre alle Blue Ladies tutte prese dai preparativi per l’ennesimo tentativo di fare espellere in massa la scuola, cioè il concerto londinese di Celestina Warbeck, un’altra categoria di creature attraversava un momento di agitazione tremenda. Gli elfi domestici di Hogwarts, sembravano particolarmente esagitati in quei giorni e per nulla che avesse a che fare coi soliti preparativi natalizi: menù per il giorno di Natale, decorazioni e quant’ altro. Chi avesse avuto la ventura di fare un salto nelle cucine avrebbe assistito a uno strano spettacolo: una vecchina vestita di bianco, con civettuoli guanti di pizzo che brandiva una bacchetta a forma di bastone da passeggio, arringando quelle piccole creature con una veemenza incredibile, minacciandoli di decapitarli per appendere le loro teste a una parete.
    - Elladora sta vivendo intensamente le sue ultime ore in questa scuola – stava per l’appunto commentando Phineas Nigellus, lisciandosi distrattamente gli ordinati baffetti neri.
    Narcissa Black Malfoy si strinse nelle spalle e tolse i morbidi guanti neri in pelle di drago per posarli sull’orlo della scrivania – Lascia che si sfoghi, non avrà per molto tempo l’occasione di tiranneggiare tanti elfi tutti insieme – rispose, indifferente.
    - Non credo che il preside sia molto soddisfatto della cosa – osservò un’altra voce. Narcissa alzò di nuovo, leggermente, le spalle e posò accanto ai guanti una sciarpa di preziosissima seta bianca.
    - Stiamo per andare, Alphard – disse – Ti prego di raggiungere quanto prima la tua cornice nell’ingresso, non ho voglia di aspettare nessuno -
    Alphard Black mormorò qualche parola di assenso e si voltò nella cornice che lo ospitava, sparendo dietro un paravento stampato a fiori.
    - Sta andando a salutare Potter – disse Phineas Nigellus.
    - Lo credo anch’io -
    Narcissa Malfoy sedette sull’orlo di una comoda sedia imbottita e accavallò le gambe inguainate di seta nera – Ci salutiamo, nonno, almeno per ora –
    Phineas Nigellus non rispose, si limitò a incrociare le mani sullo stomaco e a considerarla con un lungo sguardo penetrante che lei ricambiò con la solita sfacciata tranquillità, occhi di liquido ghiaccio grigioazzurro sotto le ciglia sorprendentemente scure.
    Era diversa dalla Narcissa che si era presentata quel giorno, all’alba, con le gambe vacillanti, come se tutto il peso di quanto era successo le fosse improvvisamente crollato sulle spalle.
    Il peso dei suoi errori e dell’essere stata costretta a commetterli in solitudine.
    Era rimasta seduta davanti a lui, in silenzio, per quasi due ore, il viso ringiovanito dalle pozioni nascosto tra le mani e gli occhi vecchi dietro le dita tremanti.
    - Forse verrò a trovarti, dal mio ritratto del castello in Scozia – disse Nigellus con un gesto noncurante – Così potrò assicurarmi personalmente che tu non incorra in altre sviste inconcepibili, come non accorgerti che tua sorella dormiva nel letto vicino al tuo -
    Narcissa Malfoy non batté ciglio, nemmeno un’ombra attraversò la fronte rimasta liscia anche adesso che le pozioni di Severus Piton avevano cessato di darle una parvenza di adolescenza, mera precauzione a fronte del suo aspetto sempre fresco e senza età e del potente Incanto Fidelius che la proteggeva quando aveva assunto l’identità di Lisa Nora McFays.
    Narcissa si limitò a ricambiare il suo sguardo, le ciglia socchiuse e gli occhi troppo divertiti per recare traccia di risentimento: era imbattibile al suo stesso gioco, sarebbe morta prima di dare soddisfazione ad anima viva o morta.
    - Il tuo ritratto in Scozia è divorato dalle tarme – rispose dolcemente – Ma fa’ come credi -
    Il vecchio preside sollevò esageratamente le sopraciglia sottili, scandalizzato da una simile irriverenza.
    - Ti ho offesa, nipote? – domandò, ironico.
    Lei ebbe una risatina trillante.
    Cristallo di bicchieri ghiacciati che tintinnavano in un brindisi segreto di bollicine dorate e profumate d’ebbrezza.
    Fu l’unica risposta che apparentemente era disposta a dargli.
    - Che cosa farai adesso? -
    Che cosa?
    Lei sorrise, gli occhi bassi, sorrise non esattamente a lui ma fu un sorriso gentile vagamente profumato di malinconia. Un riflesso del suo sguardo scivolò sulla vera nuziale in platino, tempestata brillanti e sul diamante che ornava l’altro anello che le fasciava l’anulare sinistro.
    - Ti manca tuo marito? -
    Lei non rispose, ma quella finestra sui pensieri che si era schiusa, per l’intervallo di un istante, nei suoi occhi si richiuse immediatamente.
    - Avrò piacere di rivederti, nonno – disse un momento dopo, alzandosi e prendendo i guanti e la sciarpa di seta. L’orlo della lussuosa pelliccia nera, rifiniture di manticora e lucida pelle di drago, le ricadde intorno alle caviglie sottili con un morbido tonfo che aveva qualcosa di definitivo.
    Prese la borsetta di Petardo Cinese, e si avviò verso la porta, seguita dagli sguardi cortesi e curiosi dei vecchi presidi di Hogwarts. Con la mano sulla maniglia dorata, intarsi elaborati, freddi e ruvidi al tatto, si voltò per gettarsi ancora una lunga occhiata al di sopra della spalla destra.
    Gli occhi scuri e freddi di Phineas Nigellus le sorridevano di una luce che arrivava appena a illuminare la piega orgogliosa delle labbra, lei fece un cenno del capo che il vecchio avo le restituì con un lieve inclinarsi della testa che poteva essere un saluto come un blando accenno di indulgenza.
    Le scale che scendevano, un nastro silenzioso e irresistibile, spirale che la trasportava gentile ma inesorabile verso il basso; il passaggio che lei non guardò, si chiuse alle sue spalle, inghiottito dalla parete e solo il gargoyle con suo ghigno di scherno pietrificato rimase a guardia dei suoi pensieri, in un corridoio vuoto dove solo lo scoppiettare delle fiamme e le ombre che si appiattivano guardinghe sulla parete colmavano quel vuoto freddo di solitudine.
    Narcissa Malfoy estrasse dalla borsetta un portasigarette d’argento, una musica sommessa da vecchio carillon si diffuse nell’aria e le orecchie del gargoyle vibrarono.
    Era vietato fumare nei corridoi.
    Al diavolo l’anima dannata del vecchio Salazar Slytherin e di quella sgualdrina di Rowena Ravenclaw, patrona della sua vecchia casa e di lei stessa prima che si trasformasse in una serpe, doveva ancora arrivare il giorno in cui Narcissa Black si sarebbe piegata a una stupida regola.
    Se non avesse ritenuto conveniente farlo, naturalmente.

    Un delicato profumo di lavanda si mescolò alla fragranza costosa, creata appositamente per lei a Parigi, che aveva spruzzato sulla gola e sui polsi eleganti.
    Il diamante sul suo anulare sinistro catturò un pallido raggio di luce e lei vi fermò lo sguardo pensoso, muovendo le dita come per esercitare le articolazioni. Il suo anello di fidanzamento accanto alla vera nuziale, era lì da quando aveva quindici anni, da quando in quella stessa scuola, in un giorno di dicembre simile a quello, freddo e dolce, Lucius lo aveva infilato al suo dito, senza una parola.

    This is my December
    This is me alone
    And I just wish that
    I didn't feel like there was
    Something I missed

    Linkin Park, My December


    Lucius.
    La donna si appoggiò di schiena parete e solo con uno sforzo inumano riuscì a trattenersi dal curvare le spalle, dove non c’era nessuno a cui gettare in faccia il suo orgoglio almeno la soccorreva l’ostinazione. Sollevò caparbiamente il mento, davanti a quel pubblico inesistente di fiammelle e di ombre, aspirò lentamente dalla sigaretta e soffiò una nuvola di fumo, che si condensò nel freddo del corridoio.
    - Narcissa? -
    La voce che la chiamava era estremamente gentile, quasi dolce, ma lei automaticamente si irrigidì, l’espressione del volto bianco e liscio improvvisamente gelida e tranquilla.
    - Sì, Alphard -
    Lui la guardava da una delle cornici del corridoio, l’immagine sullo sfondo rimandava l’atmosfera cupa di una stanza in penombra piena di oggetti polverosi, fiori secchi in un vaso e vecchi animali impagliati, trai quali la figura vibrante di vita del mago sembrava fuori posto.
    Alphard Black osservò la nipote, la piega ostinata delle labbra e gli occhi scintillanti d’ira e di ribellione, inflessibile sguardo di un’alba invernale, che invece di combattere i rigori del gelo li imitava e li faceva suoi.
    Dissimulare, sempre.
    - Raggiungo la mia cornice a pianterreno -
    - Dove sei stato? -
    - Alla Torre del Gryffindor -
    Brusca, in maniera troppo gratuita per essere naturale, la domanda di lei aveva avuto in risposta solo una voce cortese e sincera.
    - Perfetto – replicò lei, il nervosismo che affiorava nel tono acido – Mi sembrava di averti portato qui per stare vicino a mio figlio -
    Una pausa.
    Ancora quelo slguardo strano negli occhi grigi di Alphard e la risposta, di nuovo sorprendentemente gentile.
    - Per questo ci sei stata tu, per tutto il tempo -

    ***


    Narcissa Malfoy lanciò un rapido sguardo a Harry Potter, inginocchiato vicino al ritratto di Alphard e con una lieve scrollata di spalle fece un rapido esame della situazione.
    Dal suo posto d’onore, vicinissimo allo stipite, Elladora Black dirigeva le operazioni.
    - Tu! – tuonò puntando il bastone verso un elfo vestito con un largo strofinaccio da cucina con sopra ricamato il blasone di Hogwarts – Occupati di mia cugina Araminta! -
    Araminta Melliflua però, in quel preciso momento era occupata a conferire con uno degli studenti.
    - Quando lavoravo al Ministero – lo informò con un certo sussiego – Per poco non sono riuscita a far passare un disegno di legge che legalizzasse la caccia ai Babbani -
    Justin Finch-Fletchley, Muggleborn, fissò la strega con un certo fastidio mentre un elfo domestico se la caricava in spalla con cornice e tutto per trasportarla verso l’esterno, naturalmente inseguito dagli improperi di Elladora Black che minacciava una rapida ma dolorosa decapitazione se avesse danneggiato il ritratto della sua amata cugina.
    - Mamma? -
    Narcissa si voltò al suono di quella voce e osservò il figlio scendere velocemente le scale e andarle incontro. Le spalle gettate indietro e il mento sollevato, Draco Malfoy tagliò un gruppetto di ragazzini del secondo Hufflepuff che si affrettarono a farsi da parte per farlo passare, gettandogli di sottecchi occhiate vagamente ostili e sicuramente diffidenti. Lui non se ne curò, non diede segno nemmeno di avere notato la loro presenza, come se fossero semplicemente sassi sul suo cammino, fastidiosi ma innocui.
    - Stai partendo adesso? -
    - Ti avrei mandato a chiamare, altrimenti? -
    Al tono di voce leggermente tagliente lui inarcò un sopraciglio e non rispose se non con un’elegante scrollata di spalle.
    Mastro Gazza passò loro accanto col ritratto di Alphard sulle spalle e una smorfia per niente amichevole in viso. Draco fece un educato cenno del capo allo zio che ammiccò di rimando, ignorando completamente il custode di Hogwarts che con un brontolio sordo varcò la soglia diretto a una lussuosa auto nera parcheggiata con sfacciata disinvoltura ai piedi della scalinata, dopodiché riportò lo sguardo sulla madre.
    Il tono con cui aveva pronunciato quelle parole aveva qualcosa di impertinente e la donna socchiuse gli occhi scoccandogli un’occhiata ammonitrice. Ebbe in risposa uno sguardo perfettamente innocente e trattenne un sorriso.
    - Molto bene – sospirò – Ricomincerai a scrivermi regolarmente da oggi in poi -
    Non era una richiesta, tuttavia la voce di Narcissa era dolce e lui sorrise – Sì –
    - Per cortesia cerca di studiare ogni tanto invece di startene in giro a bighellonare per la scuola e per il villaggio -
    Draco alzò gli occhi al soffitto.
    - …E per classi vuote con ragazze inappropriate – terminò Narcissa fissandolo dritto negli occhi.
    Lui aveva la stessa faccia di bronzo di suo padre e mentre la fulminava con quello sguardo che invitava a non sollevare di nuovo l’argomento, gli somigliava moltissimo, per questi due motivi la donna non si irritò e provò invece l’impulso di fargli una carezza.
    Naturalmente non lo fece, avrebbe rovinato l’effetto della tirata di commiato.
    - Io studio – precisò Draco, ignorando bellamente tutto il resto.
    - A giudicare dai tuoi voti non si direbbe – rispose lei – senza contare che ho potuto finalmente notare di persona quanto le tue scuse siano del tutto fasulle, quindi studia e vergognati di esserti fatto superare anche dalla tua ragazzina Mezzosangue -
    Ragazzina.
    Un lampo furinte attraversò gli occhi grigi di Draco che si strinsero in due fessure, lei si morse la lingua per non scoppiargli a ridere in faccia, quell’aria di dignità offesa era oltremodo divertente.
    - Non è colpa mia – rispose il ragazzo in tono petulante – Ogni insegnante ha i suoi preferiti e lei è la cocca di tre quarti del corpo docente -
    - Fatto sta che è Babbana ed è più brava di te -
    Lui inarcò nuovamente un sopraciglio e misurò l’espressione di sufficienza sul volto della madre, irrigidì le spalle e storse la bocca in una smorfia di dispetto – Mi stai provocando? –
    - Non mi prenderei mai il disturbo – replicò lei in tono condiscendente.
    Draco per tutta risposta scrollò le spalle – Buon viaggio, allora –
    Blaise Zabini arrivò in quel momento, una visione con tanto di mantello elegante e profumo italiano. Si inchinò compitamente – Signora Malfoy – mormorò, prendendole la mano e sfiorando con un bacio galante l’aria al di sopra delle sue dita – Ci ha fatto l’onore di venire a trovarci? –
    Madre e figlio si scambiarono un’occhiata e non mossero un singolo muscolo facciale mentre Zabini li guardava con educata perplessità.
    Un Incanto Fidelius di solito funzionava alla perfezione, soprattutto quando il Custode Segreto era Slytherin, in questo caso Severus Piton che era notoriamente persona capace di farsi i fatti suoi e di tenere qualcosa per sé quando era il caso di farlo. A memoria di mago L’Incanto aveva fallito soltanto una volta, nemmeno a dirlo quando i Gryffindor avevano deciso di fare le cose in grande e si erano persi in un bicchiere d’acqua al momento di nominare un Custode Segreto, opportunamente scelto nella persona di un fedele servo del Signore Oscuro. Trattandosi di Gryffindor il segreto si era mantenuto tale per il felice record della settimana scarsa, poi era successo quello che era successo e tutto il mondo magico si era ritrovato tra capo e collo un Ragazzo Sopravvissuto.
    In altre parole se anche gli Slytherin sceglievano di lasciare in custodia un segreto scottante a un traditore incallito e Mangiamorte, sapevano comunque designarlo con un certo criterio tra le varie persone che questa definizione indicava, avendo cura di optare per uno Slytherin piuttosto che per un Gryffindor.
    Per questo motivo, Blaise Zabini continuava a sorridere e dal tono con cui aveva parlato si sarebbe detto proprietario del castello, un cortigiano che affetta finta modestia per la sua poco umile dimora, del tutto ignaro di aver perso parecchio smalto davanti alla signora Malfoy quando questa – sotto mentite spoglie - si era ritrovata a incrociarlo per il dormitorio con la maschera di bellezza sulla faccia o quando si era accorta che lui dormiva con sole tre gocce di profumo e due fette di cetriolo sugli occhi.
    Narcissa Malfoy lo squadrò dubbiosa, poi guardò di nuovo il figlio – Non passate troppo tempo insieme, voi due? –
    Dalla faccia che fece Zabini si dedusse senza ombra di dubbio che non era esattamente quello il saluto che si aspettava, da quella di Draco che pensava che sua madre avesse trascorso troppo tempo a contatto con Tiger e Goyle, ultimamente.
    - Non sono sicuro di aver capito – rispose educatamente Blaise.
    Un’ombra di orrore attraversò per un istante i lineamenti finissimi di Narcissa Malfoy, come se non riuscisse a credere lei stessa a quello che aveva appena detto – Perdonami, Blaise, deve essere la stanchezza – disse in tono civettuolo – O forse è solo l’età –
    Blaise Zabini per tutta risposta le spalancò un sorriso, incredibilmente bianco sulla carnagione abbronzata – Lei mi fa pensare a come la mia memoria mi tradisca – sussurrò - nonostante pensi sempre a lei, bella come la luna di giugno, mi accorgo ogni volta che la vedo, che i miei ricordi sono ben poca cosa rispetto alla realtà –
    Il tutto pronunciato con la sua migliore voce da esecutore d’Opera, con la giusta tonalità morbida e calda.
    Narcissa Malfoy sorrise, troppo dignitosa – e decisamente troppo vanitosa – per schernirsi.
    Draco lo guardò come se fosse impazzito: Blaise stava forse flirtando con sua madre? Riportò lo sguardo sulla donna che continuava a sorridere, condiscendente, e sull’amico che sembrava avere sviluppato una sorta di paresi facciale. Dopodiché un rauco colpo di tosse, per la verità piuttosto irritato, lo indusse a gettarsi un’occhiata alle spalle: Daphne Greengrass si stava spostando dalla scalinata principale verso l’ingresso del sotterraneo. Draco riportò gli occhi su Blaise che si stava di nuovo chinando, galantemente, sulla mano di sua madre.
    Stava decisamente flirtando con sua madre.
    - E’ stato un autentico piacere, signora Malfoy -
    - E’ stato un piacere anche per me, Blaise, saluta i tuoi genitori da parte mia -
    Non le mollava la mano.
    Un altro colpo di tosse alle loro spalle segnalò che anche qualcun altro se ne era accorto.
    Blaise finalmente lasciò andare la mano di Narcissa Malfoy e Draco vide che si lanciava, tutto soddisfatto, un’occhiata alle spalle.
    Che cosa indegna, per amor di ripicca non si fermava nemmeno davanti alle donne sposate.
    - Arrivederci, caro -
    Tutto preso da quel tetro pensiero, Draco non ebbe il tempo di giocare d’anticipo, così si ritrovò di punto in bianco tra le braccia di sua madre, nel bel mezzo della Sala d’Ingresso e con le sue labbra premute sulla guancia.
    Le guance pallide si tinsero immediatamente di rosa - Mamma! – esclamò, imbarazzato.
    Lei sorrise, per nulla toccata dall’occhiata furente che le lanciò. Si mise semplicemente a ridere mentre lo osservava gettarsi intorno uno sguardo minaccioso per assicurarsi che nessuno degli astanti si permettesse anche solo un sorriso.
    Era ancora troppo giovane per non sentirsi in imbarazzo per le effusioni di sua madre anche se sfoggiava atteggiamenti da uomo vissuto e da esperto amante quando nelle vicinanze c’era Hermione Granger. A quel pensiero la donna si accigliò.
    – Ti manderò una scatola dei tuoi dolci preferiti non appena arrivo a casa – decretò infine, voltandogli le spalle e avviandosi a passo spedito verso la porta.
    Malfoy la guardò andare via sospirando esasperato: forse un giorno molto lontano avrebbe smesso di trattarlo come un lattante.
    Alle sue spalle risuonò una risatina soffocata e lui si voltò di scatto per fulminare con uno sguardo il responsabile di tanto osare.
    Nemmeno a dirlo.
    Potter.
    Lo squadrò da capo a piedi cercando di concentrare nello sguardo tutto il disprezzo possibile e visto che Tiger e Goyle si stavano avvicinando, ne prese in prestito un poco anche da loro. Rimasero a guardarsi male per qualche momento, poi ognuno per la sua strada.
    Draco Malfoy sospirò, soddisfatto.
    Com’era bella la quotidinanità.

    ***


    This is my December
    This is my time of the year
    This is my December
    This is all so clear

    Linkin Park, My December


    Un Incanto Fidelius poteva rivelarsi una faccenda complicata da gestire, non fosse che per l’ovvio rilievo che il numero delle persone a cui confidare i suoi dilemmi era notevolmente ristretto.
    Narcissa Malfoy a quanto aveva detto Harry, molto rammaricato per la partenza di Alphard, aveva già misericordiosamente lasciato la scuola, ma naturalmente non era una possibile candidata per qualsivoglia confidenza.
    Se si voleva escludere Draco Malfoy, che dopo la ritirata strategica della sera prima – una corsa a perdifiato per impedirsi di Schiantarlo o di piangere a dirotto – si accingeva comunque ad affrontare, restava il Custode Segreto: Severus Piton.
    Giusto un’interessante alternativa al proverbiale lancio a testa in giù dalla Torre di Astronomia.
    Se avesse avuto la possibilità di rivelare quanto era realmente successo, la scelta sarebbe stata comunque tra il passare per una che per due volte in meno di un anno era riuscita a strappare il primato delle corna a un cesto di lumache, oppure per cretina colossale per aver trascorso intere settimane a domandarsi se il suo ragazzo avesse una relazione illecita con una tizia che alla fine era risultata essere sua madre.
    Il tutto si concretizzava al solito come un’ardua scelta tra due varianti di suicidio.
    Tra l’altro quel giorno aveva incontrato Draco casualmente per ben due volte e lui si era tenuto a distanza, rivolgendole solo un dignitoso saluto e uno sguardo che sapeva di virtù ferita lontano un miglio. Solito atteggiamento Malfoy: disinvoltamente incurante dei danni provocati e delle malefatte perpetrate, era prontissimo ad atteggiarsi – più o meno dignitosamente - a vittima e martire non appena se ne presentasse l’occasione.
    E adesso che lui sapeva che lei sapeva, probabilmente avrebbe trovato il modo di fargliela pagare per qualche mese o giù di lì, fino a che non avesse trovato un passatempo più stimolante.
    Hermione Granger guardò la porta del Club dei Duellanti per svariati minuti prima di decidersi a pronunciare la parola d’ordine.
    - Clavis -
    Il battente si socchiuse con dolcezza e lei lo sospinse facendolo cigolare sommessamente sui vecchi cardini, scoprendo parzialmente la prima sala dove una nutrita schiera di ragazzine, sedute sulle sedie spaiate, ascoltava pazientemente le spiegazioni di uno dei membri anziani del Club, i visini levati verso la pedana come tanti girasoli davanti al sole.
    - Reducto! – gridò una vocina femminile.
    - Non così! – intervenne una voce maschile, profonda e musicale.
    La ragazzina, chiunque fosse, emise un singhiozzo straziato.
    - Il movimento della bacchetta deve essere più fluido, la posizione del corpo deve essere elegante -
    Non ci voleva esattamente un genio per capire chi stesse tenendo lezione quel giorno.
    Hermione aprì del tutto la porta: sulla pedana, Blaise Zabini, abbigliato di una delle sue elegantissime marsine nere, stava correggendo la postura di Josie Macnair che, rossa per l’emozione, sembrava prossima ad andare al tappeto senza bisogno dell’ausilio di nessun incantesimo.
    - Josie, così non va -
    Zabini si mise le mani sui fianchi e guardò la ragazza che abbassò lo sguardo con aria tragica, terrorizzata all’idea di deluderlo. Valery Rockwood e Daisy Warrington le lanciarono uno sguardo trepidante mentre tutte, trattenendo il fiato, aspettavano il verdetto divino.
    - Non tieni le spalle abbastanza dritte – decretò infine Blaise annuendo tra sé, avendo evidentemente individuato la fonte del problema.
    La Macnair lo guardò, angosciata, probabilmente domandandosi se c’era rimedio.
    Hermione socchiuse gli occhi trattenendosi con estrema fatica dal domandare quale diavolo di importanza potesse avere la posizione delle spalle nell’Incantesimo Reductor.
    Blaise Zabini era tutto occupato a premere con una mano la schiena della Macnair mentre con l’altra le teneva saldamente una spalla. La ragazzina rimase immobile come un docile manichino, per non sciupare il lavoro fatto e Zabini la guardò di nuovo, picchiettandosi il mento con l’indice, pensoso, poi rivolse uno sguardo alle altre ragazze e d’improvviso si illuminò.
    - Perfetto, ho trovato! Ragazze, tutte in piedi -
    Fece per agitare la bacchetta quando finalmente si accorse di Hermione. Chinò lievemente il capo, il minimo concesso dall’educazione – Ragazze, salutate Miss Granger –
    Aveva un modo di dire “Miss” che era da solo una perla di insolenza.
    Un coretto omogeneo di voci la salutò, obbediente.
    Lei chiuse la porta e fece un dignitoso gesto della mano rivolgendo a Zabini un’occhiata di estrema superiorità.
    Perfettamente soddisfatto del saluto ricevuto, il ragazzo tornò alle sue attività e levò la bacchetta – Wingardium Leviosa -
    Dalle borse delle ragazze, abbandonate sul pavimento, uscirono libri di testo e manuali di varia specie. Hermione si fermò, le dita sulla maniglia della porta da cui si accedeva alla Club House, e osservò i libri posarsi sulle teste delle ragazzine che rimasero immobili con aria abbastanza perplessa.
    - Ragazze – sospirò Zabini – conviene cominciare dalle basi -
    L’aria che proveniva dalla saletta denominata pomposamente Club House era calda e fumosa, fragrante di aromi di sigarette profumate, di fumo di legna e di cognac. Mentre lei entrava, Anthony Goldstein che sedeva al tavolo da gioco proprio di fronte alla porta, alzò lo sguardo dalle sue carte e sorrise, occhi bruni in cui scintillava un calore dorato, come il liquido ambrato nel bicchiere accanto alla sua mano, bruna e capace.
    Subito dopo però Anthony assunse un’aria perplessa – Perché quella faccia? – le domandò.
    Cercando di ignorare il baluginare delle candele su un’onda di capelli biondi, alla destra di Anthony, Hermione aprì la porta mostrando l’altra sala dove le ragazzine sfilavano diligentemente ognuna con un libro in testa imparando l’arte del Duello dalle basi: il portamento.
    - Povero me – esclamò Anthony mentre Terry Steeval e Justin Finch-Fletchley scoppiavano a ridere.
    - Ciao a tutti – disse cercando di darsi un tono normale.
    - Che sta facendo quell’idiota? -
    Soave come sempre, usando il prediletto nomignolo per chiunque le capitasse a tiro, Daphne Greengrass abbassò sulle ginocchia, lasciate scoperte dalla gonna cortissima, la rivista che stava leggendo.
    Hermione la guardò, vacua – Insegna – disse debolmente e richiuse la porta sulle prime battute di un valzer di Strauss, che evidentemente doveva scandire il ritmo dei passi delle piccole allieve.
    - Che roba è questo lamento? Le Sorelle Stravagarie? – domandò ancora la Greengrass, con la faccia schifata.
    - No, è il Danubio Blu -
    - Non potrebbe buttarcisi dentro con una pietra al collo? - Daphne sbuffò e tornò a nascondere la faccia dietro Strega Moderna.
    Nessuno si sognò di replicare, Terry Steeval nascose un sorriso dietro il ventaglio di carte.
    Un tintinnio metallico di fiches e al di sopra di esso, una voce bassa e morbida, di gola.
    - Rilancio di venti galeoni -
    Un fremito che le raggiunse la punta delle dita come piume sulle unghie.
    - Ti senti fortunato oggi, Malfoy? -
    La calorosa ironia nel tono di Goldstein trovò un riflesso di timidezza negli occhi di Hermione quando di nuovo le sorrise, incoraggiante.
    Nessuno aveva bisogno di distogliere lo sguardo dalle carte per notare quella tensione sottile che le scivolava sulla pelle annidandosi negli spazi tra le dita, mentre decideva finalmente di raggiungere Daphne per sedersi su una vecchia poltrona.
    Mentre passava accanto al tavolo da gioco, un braccio si stese fulmineo sbarrandole il passo e una mano le sfiorò il fianco, chiudendosi a pugno.
    Draco Malfoy non aveva nemmeno distolto gli occhi dalle carte disposte a ventaglio nella mano sinistra, né accennava a dirle nulla. Dopo un istante di esitazione lei scivolò lungo quel braccio ritrovandosi al suo fianco e si chinò a dare uno sguardo alle carte tanto per fare qualcosa.
    - Malfoy? – tossicchiò Terry Steeval gettando sul tavolo un’altra pila di fiches.
    - Altri trenta – rispose il giovane in tono distaccato.
    Hermione poggiò una mano su quel pugno che le premeva il fianco e sollevò l’altra per posargliela dietro le spalle, il suo maglione grigio chiaro era soffice e i sottili capelli biondi le solleticarono il dorso. Trattenne a stento l’impulso di tuffargli le dita trai capelli e di cercare il calore serico della nuca.
    Forse lui intuì il freno imposto a quella mano che lo toccava, perché improvvisamente alzò lo sguardo su di lei.
    Aveva occhi che facevano male, adesso che entrambi sapevano, la rabbia e il risentimento che affioravano a tratti come gorghi di buio in un lago di chiarore.
    Che cosa farai quando ti accorgerai di aver sbagliato?
    Rasoi affilati dietro un drappo di seta.
    E la voglia di offrire i polsi a quelle lame.

    And I take back all
    The things I said
    To make you feel like that

    Linkin Park, My December


    La mano sinistra del giovane si mosse agilmente offrendole la vista delle carte e Hermione cercò di mantenere un’espressione neutra, per non tradirlo davanti agli altri giocatori. Lui non aveva assolutamente nulla in mano: cavaliere, re, regina, niente altro, eppure continuava a rilanciare come se custodisse tra le dita i semi di un tesoro. Carte nobili e inutili e lei non comprese perché improvvisamente Draco stesse piegando la testa in un inchino ironico.
    Per lei, Regina Mezzosangue di quel maledetto ventaglio di tre carte eternamente vincenti, insieme al Cavaliere Sfregiato e al Re Straccione. Ingannare al gioco e tentare la sorte anche all’alba di una lunga notte di sconfitte, gettando su un piatto sfortunato le ultime monete.
    Monete false.

    Blaise Zabini entrò, in un’ondata di cachemire, colonia di lusso e fumo di sigaretta, per una frazione di secondo i suoi occhi cercarono Daphne Greengrass poi si spostarono, con una naturalezza tale da poter essere solo affettazione, sul tavolo da gioco, mentre rispondeva, indifferente, al coro di saluti.
    Draco Malfoy si alzò ed Hermione sentì il braccio che le cingeva la vita ammorbidirsi e il pugno che le premeva il fianco sbocciare in una carezza.
    - Noi andiamo via, - disse deciso – Blaise, prendi il mio posto? -
    Si scambiarono uno sguardo poi Zabini annuì – Scommetto che hai delle pessime carte –
    - In caso puoi sempre barare – replicò Malfoy, calmo.
    Anthony Goldstein sorrideva e il suo sorriso non era rivolto direttamente a nessuno, pensoso e divertito scivolava sulla superficie del bicchiere panciuto dove il riflesso del fuoco accendeva il cognac di bagliori d’oro rosso.

    ***


    Tell me how, you know now,
    The ways and means of getting in
    Underneath my skin,
    Oh you were always my original sin

    Elton John, Original Sin


    Mani fredde le racchiudevano le guance, dita immerse nei suoi capelli le premevano le tempie e palmi capaci le mandibole, catturandole il viso con una forza che lasciava poco spazio alla gentilezza.
    Era nervoso.
    Aveva sempre le mani fredde, quando era nervoso.
    - Perché ieri sera sei scappata? -
    Non le lasciò il tempo di rispondere, quel sussurro aspro le graffiò le labbra prima che quelle di lui corressero di nuovo a blandirle con un bacio.
    - Io … -
    Gli affondò le unghie nelle spalle, il maglione sotto le sue dita era soffice e caldo. Nel vento che soffiava sugli spalti dell’ala Ovest - raffiche gelide e secche che giocavano avvolgendosi intorno alle scabre colonne del loggiato - i lembi del mantello nero che lui indossava le volavano intorno chiudendola in un bozzolo protettivo. Le sue braccia la stringevano in una morsa dolorosa, premevano sulle costole e sulla schiena, la mano sulla sua guancia era dura e imperiosa mentre la costringeva a tenere il volto levato e a offrire le labbra a quel bacio simile a una punizione.
    - Mi dispiace – gli disse, sottovoce.
    - Non è abbastanza -
    Un ringhio sordo che sentì contro l’orecchio insieme al battito furioso del suo cuore. Chiuse gli occhi e piegò appena la testa all’indietro per cercare con le labbra la carne tiepida del suo collo, trasognata, debole, gli posò un bacio dove una vena batteva impazzita sotto la pelle setosa.
    Di riflesso le sue braccia la strinsero ancora più forte e lei trasalì trattenendo a stento un gemito.
    L’aveva abbracciata altre volte in quel modo, altre volte le aveva respirato quella rabbia sul seno e trai capelli.
    - Nessuno può vedere quanto coperto da un Incanto Fidelius - gli fece notare a voce bassa e ferma - Nemmeno tu sei stato in grado di riconoscere la tua stessa madre fino a che Piton non si è degnato di comunicarti chi fosse -
    Ricordava ancora quel giorno, il corridoio inondato di luce e Lisa McFays che porgeva a Malfoy un biglietto di pergamena: l’espressione vacua, stravolta sul viso del ragazzo e poi l’atteggiamento docile con cui si era lasciato condurre via. Dal quel momento le cose era praticamente precipitate.
    Aveva compreso – strano come adesso, inserito quell’ultimo tassello nel mosaico tante piccole cose avessero assunto un significato preciso – che era stato proprio il rifiuto di Draco di avvicinarsi a Lisa e la sua decisione di evitarla, a indurla a rivelarsi. All’inizio la segretezza era parsa la soluzione più conveniente: il ragazzo, con la madre nei paraggi, avrebbe preso ogni precauzione per cercare di sfuggire al suo sguardo indiscreto, mentre davanti a una qualsiasi ragazza della scuola non si sarebbe posto problemi.
    Quando invece Draco le aveva intimato di stragli lontana, aveva dovuto svelare la sua vera identità in modo da poter continuare a proteggerlo.
    Hermione sospettava che altro avesse giocato in quella decisione: far comprendere al figlio come sua madre gli fosse vicina. Ed era probabilmente quello il motivo della scintilla di serenità, dopo due anni di dubbi e di incomprensioni, che animava gli occhi del ragazzo.
    Non in quel momento però, adesso quel che accendeva i suoi occhi era rabbia.
    Le mani di lui salirono ad afferrarle le spalle, come se volesse allontanarla bruscamente da sé, ma lei sapeva che volevano soltanto tenerla più vicina.
    - Non potevo saperlo – bisbigliò lei.
    - E’ stata la tua fortuna – adesso, condiviso il segreto, la sua ira e il suo dolore erano liberi di esplodere. Hermione gli posò le mani sul petto, dolcemente, pronta a riceverne l’impatto.
    - Se tu avessi avuto una sola possibilità di capire ...una soltanto – la voce di lui si spezzò, sotto le mani lei sentì il respiro lento e faticoso gonfiargli a tratti il petto – Se tu avessi deliberatamente voltato le spalle a tutto solo perché non volevi a credere a me, io non so che cosa avrei potuto farti. Non lo so davvero -
    Lei rimase in silenzio, immobile, avvertendo la sua collera irradiarsi dalle mani che le affondavano nelle spalle, dal petto che nonostante tutto le offriva riparo contro il vento. I lembi del mantello nero le sfiorarono le gambe, i suoi capelli biondi le volarono sul volto. Hermione chiuse gli occhi e strofinò il viso contro la sua spalla come se volesse scavarvi un rifugio.
    - Sono tornata da te – rispose – L’ ho fatto nonostante tutto e contro tutti, anche se ogni cosa mi diceva che la verità era un’altra, questo non conta per te? -
    - Ogni cosa? -
    La sua rabbia le divampò ancora sotto le mani e sul viso, sul collo nudo e vulnerabile su cui lui posò dita gelide imprimendole sulla pelle una lieve, silenziosa, minaccia.
    Portato al limite forse sarebbe arrivato davvero a farle del male.
    La coercizione velata di seduzione e una volontà inflessibile in grado di distruggere qualcosa che non poteva ottenere.

    - Ogni cosa, tranne te -
    Lo sentì tremare contro di sé nello sforzo di dominarsi, le sue braccia l’avvolsero ancora, dure, i pugni chiusi che le premevano contro il fianco e la spalla, il suo respiro caldo sulla guancia.
    - Draco – sussurrò – Mi fai male -
    Staccò un braccio da lei ma l’altro rimase a premerle la schiena, come si immobilizza un fuggiasco, come si trattiene un nemico, come si blocca l’avversario perché non possa attaccare o rispondere a un attacco.
    Hermione, gli occhi chiusi e il respiro assorto in quella tensione dolorosa e squisita. Gli accarezzò lentamente il petto e subito lui le bloccò la mano coprendola con la propria.
    Una sensazione strana, qualcosa di solido e freddo negli spazi tra le dita, e quando lui le strinse la mano avvertì una fitta.
    In mezzo al petto.
    Lei aprì lentamente gli occhi.
    Un senso di irrealtà si impossessò della sua mente mentre lo ascoltava parlare e, allo stesso tempo, una percezione talmente nitida di quanto la circondava – la carezza morbida e gelata del vento, l’azzurro del cielo che s’incupiva nei colori della sera, la pietra grigia del loggiato – da far apparire ogni cosa velata da un impalpabile scintillio.
    La voce di Draco era bassa e tesa, le scorreva dentro, in luoghi dove nessuna mano sarebbe mai arrivata. Parole che lei in parte non percepì, come se si fossero arrestate in uno spazio della sua mente, pronte a riemergere solo nei sogni. Rimase semplicemente a farsi cullare dal suo odore e dal suono della sua voce, gli occhi chiusi, la mano così stretta nella sua che provava ancora dolore.
    All’anulare sinistro, dove, secondo le leggende, una minuscola vena arrivava dritta al cuore.
    Avrebbe dovuto capirlo da tempo, forse da quella sera in cui lui le aveva detto scherzando che sarebbe stato divertente vederla liberare tutti gli elfi domestici di Malfoy Mansion. Oppure avrebbe dovuto capirlo ancora prima.
    Per due volte le aveva giurato che avrebbe trovato un modo perché loro due potessero restare insieme, e adesso che qualcosa aveva rischiato di separarli irrimediabilmente, lo stava giurando ancora.
    Facendo qualcosa che li avrebbe irreparabilmente uniti.
    Lo avrebbe sposato, le disse, una volta completata la sua istruzione perché sapeva quanto lei ci tenesse e una volta pronunciati i voti, come prevedeva il rito, gli avrebbe giurato obbedienza, una volta per tutte.
    Un’ondata di panico l’assalì, fiumi di parole le salirono alle labbra e lei fu costretta a soffocarle contro il suo maglione e il suo profumo.
    - Siamo troppo giovani -
    La stretta sulla sua mano si intensificò, premendole contro le dita quella muta promessa di metallo e pietre preziose che poteva sentire, contro la carne, anche senza vederla. Il respiro che lui trattenne di colpo, lo sguardo che le rivolse, facendola trasalire, la muta, implacabile determinazione in quegli occhi simili all’argento antico e usurato, affollati di ombre.
    - C’è ancora tempo. Non ho detto che sarà domani, ma succederà -
    Gelida e perentoria, la sua risposta non avrebbe ammesso repliche, o forse semplicemente lui non sarebbe stato in grado di sopportarle, nella sua voce l’ostinazione non celava del tutto la paura.
    Anche lui era spaventato.
    Quel pensiero, stranamente, la rincuorò. Sollevò la mano destra per toccargli il viso, lentamente, frugando nel suo sguardo i pensieri che si affollavano dietro le ciglia scure, che lui abbassò un istante, turbato, come se non fosse in grado di sopportare a lungo quell’esame.
    - Non ti obbedirò mai -
    - Sarai costretta a giurarlo -
    Lui aveva un tono strano, Hermione sentì sapore di rabbia e soddisfazione quando gli sfiorò le labbra, placando per un istante quel fiume di parole. Sotto le sue mani, nel petto del ragazzo, si agitava qualcosa, le spire del serpente si torcevano furiose, placate solo dal suo tocco e da quella combinazione micidiale di collera e rassegnazione nelle parole del ragazzo.
    - Se poi vorrai essere spergiura sarà solo una tua scelta -
    Dicendo questo allontanò la mano da quella di lei, Hermione rimase a contemplare le proprie dita affondate mollemente nel suo maglione grigio e l’anello al suo anulare sinistro, di una sontuosità quasi opprimente e un lusso ostentato, diamanti che splendevano di una luce fredda e dura negli ultimi riverberi del sole, platino riscaldato dal contatto delle loro mani.
    Si strinse a lui sentendo il proprio cuore batterle in gola e nei polsi, premerle veloci colpi regolari contro la gabbia toracica, un uccellino che bussava al suo petto chiedendo di entrare e di fare il nido da qualche parte dentro di lui.
    - Mi sposerai, Hermione -
    Non era una domanda e non c’era dolcezza nella sua voce che, fredda e lenta, vicinissima al suo viso, le scivolò sulle ciglia e sulla guancia fermandosi accanto alla bocca. Le sue labbra la sfiorarono mentre le sue parole le tracciavano solchi profondi sotto la pelle.
    Incapace di sopportare ancora quella tensione lei si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò. Baciò quelle labbra che ordinavano conservando dietro le palpebre chiuse l’immagine dei suoi occhi che chiedevano.
    Il vento che spirava gelido e dolce, spargendo fiocchi di neve intorno a loro, vortici di soffici cristalli nell’odore del fumo che si fondeva con quello sottile e inebriante dell’aria, ogni sensazione parve scivolarle sulla pelle, lungo le braccia che sollevò per allacciarle al collo di lui.
    Voci lontane, il frullare delle ali dei gufi in volo sul castello e le prime stelle che si mostravano appena nell’azzurro violento del cielo nel crepuscolo invernale; il gemito rauco che le sfiorò la mente, mani gentili che si intrecciavano ai suoi capelli, il suo volto acceso dal loro bacio e i suoi occhi grigi splendenti, tutto si confuse in quell’unico istante in cui lui scostò di un soffio le labbra dalle sue per mormorare – Dimmi di sì –
    Lei si aggrappò a quell’incrinatura nella sua voce, all’esitazione che c’era dietro l’ordine perentorio. L’assenso tremante, appena un lieve chinarsi del capo, fece sbocciare sul volto del ragazzo un sorriso traboccante di trionfo e meraviglia. Lei sfiorò con le dita l’ombra elusiva della tenerezza sulle sue ciglia e sulle labbra e allora lui le abbandonò la fronte sulla spalla ed emise finalmente quel sospiro trattenuto troppo a lungo, le spalle che improvvisamente si rilassavano, le braccia che l’avvolgevano ancora, senza imporre, questa volta.
    Hermione posò la guancia contro i suoi capelli e chiuse gli occhi con un lieve sorriso assorto.
    Come sempre, quando non poteva permettersi il rischio che comportava una richiesta, lui prendeva e basta.

    ***


    Why follow me to higher ground?
    Lost as you swear I am
    Don't throw away your basic needs
    Ambiance and vanity

    Collective Soul, December


    Blaise Zabini e Daphne Greengrass continuavano imperterriti a non rivolgersi la parola, con estremo sconforto del fan club di Zabini che, essendo composto da femmine e quindi da creature dotate di un certo intuito, aveva perfettamente capito l’antifona e aspettava da un minuto all’altro la notizia che avrebbe mutato lo sconforto in lutto stretto.
    Quel giorno un’altra prova di coraggio aspettava i giovani Angeli di Blaise, che sfilavano per la sala comune diretti alla camera degli allievi del settimo Slytherin.
    Josie Macnair viaggiava in testa al corteo con aria doverosamente mesta, seguita da Valery Rockwood e da Daisy Warrington. Di tanto in tanto si scambiavano un’occhiata desolata, domandandosi silenziosamente come sarebbero riuscite a comunicare l’esito della loro missione.
    Giunte davanti alla porta degli allievi del settimo, Josie passò a Daisy la scatola nera contenente le spoglie che erano il triste risultato della loro ricerca, e chiese permesso.
    La voce melodiosa di Zabini le invitò a entrare e Josie si portò avanti alle altre giungendo per prima al suo cospetto.
    Non sapendo come dargli la notizia, si limitò a indicare con un gesto del capo la scatola che Daisy teneva tra le mani con estrema riluttanza.
    Blaise, sollevò il coperchio della scatola con aria estremamente seria e guardando il contenuto si lasciò sfuggire un verso soffocato.
    - E’ lei – mormorò.
    Una volta effettuato il riconoscimento, il coperchio passò nelle mani della piccola Rockwood e Blaise sollevò delicatamente il contenuto della scatola – Giorgio, che cosa ti hanno fatto? – mormorò addolorato.
    I poveri resti della sua cravatta preferita penzolavano dalle sue dita chiedendo silenziosamente giustizia al Cielo.
    Il giovane rigirò quello che una volta era stato un emblema del Buon Gusto e dell’Eleganza e scoprì che la causa del decesso era stata un’unica ferita da arma da fuoco: una bruciatura di sigaretta che campeggiava proprio sul davanti, deturpando orribilmente quello che era stato un delicato fregio in due tonalità di grigio.
    Un odore di bruciato misto a un residuo vago di rosa selvatica gli colpì crudelmente le narici. Una volta deposto quanto restava della sua cravatta, nella scatola che avrebbe custodito il suo ultimo riposo, si slanciò fuori dalla stanza per cercare il colpevole del misfatto e comunicargli che il referto dell’autopsia lo inchiodava con prove schiaccianti.
    Sulle tracce del ricercato uscì dal sotterraneo e attraversò a passo di marcia la Sala d’Ingresso; dopo aver fatto qualche ricerca frettolosa si inoltrò nella fredda sera dicembrina, incurante della neve che rovinava le sottili scarpe da casa che indossava.
    Una folata di vento freddo lo costrinse a fermarsi. Era quasi sul punto di rientrare per prendere qualcosa con cui coprirsi quando la vide.
    Lei era lì, coi capelli biondi sparsi sullo sparato del mantello nero, appoggiata a un albero addormentato dal freddo, una lenta spirale di fumo si alzava nel freddo inesorabile della notte.
    Era lì e lo stava guardando, per una volta, da parecchio tempo, non accennava ad allontanarsi subito dopo averlo visto.
    Blaise Zabini ricominciò ad avanzare cercando di controllare la propria espressione e di imporsi un certo distacco.
    Tutte quelle buone intenzioni di cui è lastricata la strada per Slytherin.
    Calpestò la neve fredda, affondandovi fino alle caviglie, la pelle sottile delle scarpe che offriva un misero riparo da quel gelo crudele, come mille aghi conficcati nella carne.
    Come lei.
    Mostro dagli occhi verdi.

    La cravatta dimenticata in una mano, gli tornò utile non appena si fermò davanti a lei, nuvole di fumo profumato che le uscivano da quelle labbra, sprezzanti come le parole che aveva per lui.
    - Che cosa vuoi? – lo apostrofò portandosi, veloce, la sigaretta alle labbra e fissandolo nel suo solito modo, con gli occhi socchiusi, attraverso il fumo.
    - Questa è opera tua? – le domandò, in tono distaccato, mostrandole quello che restava della cravatta.
    - Anche se fosse? -
    - Immagino tu non ritenga tuo dovere scusarti per avere danneggiato una delle mie proprietà -
    L’unica risposta che ebbe fu una risata scrosciante, sinceramente divertita – Non essere idiota –
    Lui passò un dito sulla bruciatura che guastava la seta pura, ripetutamente, con un movimento pigro.
    - Eri arrabbiata, Daphne? –
    Improvvisamente dolce, il tono della voce di lui provocò in risposta un lungo sguardo diffidente.
    - Eri arrabbiata perché ho dato a un’altra il bacio che ho negato a te? -
    Daphne Greengrass continuò a sorridere o meglio, pensò lui, continuò a snudare i denti in quella che adesso sembrava una smorfia, gli occhi lampeggianti d’ira allo stato puro; poi voltò il capo di scatto, rivolgendogli solo il profilo ed emettendo, trai denti, un sibilo sprezzante.
    - Ti devo rispondere? – domandò, il veleno che ancora una volta le macchiava le labbra e le parole. Quella sottile provocazione nello sguardo che gli lanciò da dietro le ciglia abbassate, lampi di vetro verde, che a toccarli tagliavano.
    Il volto di lui perse espressione, lo staccio di seta abbandonato tra le dita, le spalle che all’improvviso si irrigidirono percettibilmente.
    - No, meglio di no – disse, in tono del tutto incolore – Sarebbe comunque inutile: tu non sei in grado di parlare, Daphne, per te i pugni e le parole hanno lo stesso significato. Sai solo giocare a chi colpisce per primo -
    Le rivolse un lieve, educato inchino e si voltò per andarsene. Daphne lo fissò per qualche secondo, gli occhi sbarrati, la sigaretta che all’improvviso precipitava a spegnersi sulla neve con uno sfrigolio impercettibile. Mosse le labbra, una smorfia oltraggiata e insieme, incredula.
    - Dove credi di andare dopo esserti permesso di parlarmi così? – esclamò, aspra.
    Si mosse veloce, quasi correndo per stare dietro alle sue lunghe falcate e gli si parò davanti sbarrandogli il passo.
    Blaise si fermò, i pugni stretti lungo i fianchi, il volto impenetrabile, gli occhi verdi, freddi che la squadravano dall’alto – Spostati –
    - Ti sfido a ripetere quello che hai appena detto – Daphne sollevò le mani come per spingerlo indietro se lui avesse accennato a muoversi, ma Blaise si limitò a levare appena il mento e a rivolgerle uno sguardo indecifrabile.
    - Confermo ogni singola parola – rispose, calmo – Tu sei solo una ragazzina capricciosa che riconosce valore solo a quello che non può avere. La classica stupida bambina che deve rompere un giocattolo per vedere come funziona e che dopo ha anche l’impudenza di chiederne un altro -
    Il giovane fece un passo di lato e ricominciò a camminare, superandola senza degnarla di ulteriore attenzione.
    Lei rimase immobile, come fulminata, guardando le sue larghe spalle allontanarsi nel buio.
    - Aspetta! -
    Poteva suonare come un ringhio oltraggiato, ma la nota di fondo era autentico panico.
    Lui sorrise al buio e alle luci ormai vicine del castello.
    Quando lo raggiunse di nuovo, strattonandolo malamente per un braccio per bloccarlo, le rivolse un’altra occhiata da sopra la spalla, sondando attentamente quel visetto infuriato. Le labbra le tremavano al punto che, accorgendosene, lei vi affondò i denti.
    Questa volta però non disse nulla, si limitò a fissarlo, anche quando lui sorrise, prima impercettibilmente e dopo decisamente divertito.
    La sua voce però suono inesorabilmente fredda quando le domandò, lentamente – Vorrei rientrare. Intendi lasciarmi andare? –
    Daphne non rispose subito, rimase con lo sguardo inchiodato al suo per un tempo lunghissimo, il volto inespressivo e gli occhi brucianti di furia.
    Abissi verdi che sembravano mandarlo cento volte nell’Inferno dove lo avrebbe raggiunto.
    Infinite rispose, dura e riluttante.
    - No -
    Il giovane mosse il braccio liberandolo dalla sua stretta, ma soltanto per farglielo scivolare intorno ai fianchi, in una stretta decisa e gentile, attirandola a sé – Dio, Daphne - mormorò trai suoi capelli - Come sei prevedibile –

    Drowning in his own hypocrisy
    And if there is a hell
    I will see you there

    Nine Inch Nails, Sin


    Le luci del castello erano isole aeree nella notte, gli alberi silenziosi vegliavano sulla distesa di neve e i suoi riverberi azzurrini.
    Vicino alle scale, la porta d’ingresso alle spalle, Josie Macnair emise un sospiro al tempo stesso tormentato e coraggioso, poi si domandò come sarebbe riuscita a comunicare la notizia alle altre. Alla sua destra le fece eco un altro rumoroso sospiro, ugualmente straziato e indomito e, voltandosi incuriosita, incrociò lo sguardo di Calista Hamilton.
    Colei che da sola, in un metro e quaranta per il peso di un cuscino di piume, deteneva tutte le cariche dello Stato Maggiore della tifoseria di Potter, stava a spalle curve e aveva il viso stropicciato da una smorfia e, in generale, sembrava una a cui era piombata addosso un’intera mandria di ippogrifi imbizzarriti che, per buona misura, avevano fatto dietrofront per passarle sopra un’altra volta.
    Il motivo di tanto silenzioso dolore stava scendendo in quel momento le scale praticamente inglobando in un abbraccio il corpicino di Ginevra Weasley: Harry Potter, il Ragazzo Sopravvissuto e, come si vociferava con una certa insistenza, Non Più Illibato, aveva un sorriso che gli arrivava da un orecchio all’altro e una contusione sullo zigomo sinistro.
    Lo sguardo di Josie Macnair si velò di comprensione e Calista Hamilton, ricambiandolo, fece per emettere un muto singhiozzo.
    Poi, terrorizzate da quell’attimo di orripilante solidarietà, le ragazzine si affrettarono a voltarsi reciprocamente le spalle e a scappare l’una verso il sotterraneo e l’altra verso le scale.
    Nel mentre Harry Potter accompagnava la sua ragazza in Sala Grande per la cena, il passo sicuro e disinvolto e il sorriso radioso, ma a uno sguardo più attento si sarebbe notato che aveva una spalla lievemente rigida e che zoppicava un poco, esattamente come qualcuno che ha almeno due costole incrinate.
    Il motivo della sua andatura claudicante, scendeva in quel momento le scale canticchiando “Perché Weasley è il nostro re”, non la versione originale amorevolmente composta da Malfoy, ma la cover Gryffindor. Ronald “The King” Weasley, raggiunse la sorella e il “cognato” e li salutò con un sorriso allegro.
    - Harry, hai un po’ di polvere sul mantello – disse, premuroso – Te la tolgo, aspetta -
    Harry Potter assunse un’espressione agghiacciata che decine di Mangiamorte avrebbero pagato per vedere sul suo viso a loro opera, poi, rassegnato, guardò la mano formato padella del suo migliore amico che calava verso il suo fianco, con la precisa impressione che gli avrebbe levato, insieme alla polvere, qualche altra costola.

    ***

    Forse l’unica che l’avrebbe presa con un minimo di filosofia sarebbe stata Ginny che si sarebbe limitata a ordinarle di non scegliere dei vestiti troppo orridi per le damigelle e a chiederle se si poteva fumare in chiesa.
    Hermione non voleva nemmeno pensare alle facce di Harry e di Ron o meglio, purtroppo, se li figurava già, accasciati su una poltrona, con le facce assenti, a ingurgitare cioccorane per ristabilire un livello decente di serotonina e non cedere alla depressione.
    - Dove stiamo andando, scusa? – domandò a Draco che, con le sue solite maniere che definire “spicce” era una cortesia, la stava conducendo giù per le scale tenendola per mano.
    - A cena – rispose lui, - Tra l’alto voglio vedere se Blaise è riuscito a perdere tutti i miei soldi -
    - Oh! – esclamò lei e si gettò un’occhiata alla mano sinistra che adesso, grazie al suo anello di fidanzamento, pesava una tonnellata o giù di lì.
    Era un gioiello, se ne rendeva conto, del quale mai avrebbe trovato l’uguale o qualcosa di lontanamente simile nel mondo Babbano. Sulla fascetta di lucido platino si ammucchiavano miriadi di diamanti a forma di stella, intagliati come nessuna mano avrebbe mai potuto fare senza l’aiuto della magia. Al movimento della sua mano modificavano luce, forma e disposizione adattandosi alle sue dita, spargendosi sulla nocca dell’anulare in squisita casualità.
    Stelle.
    E lui sorrideva di una luce che superava ogni cosa terrena.
    Lui, l’ultima tra le stelle dei Black.
    L’espressione di affettata noncuranza non riusciva a celare quella scintilla di trionfo e di soddisfazione nei suoi occhi. Il ragazzino viziato, aveva fatto la voce grossa e adesso era contento pur sapendo che la vittoria riportata era solo apparente, visto che – in realtà – non sarebbe riuscito a imporle nulla. Uno dei piccoli elementi su cui si fondava il faticoso equilibrio che si erano costruiti.
    - E’ necessario andarci adesso? – domandò lei.
    Per la verità avrebbe preferito trascorrere qualche momento in solitudine per abituarsi all’idea e magari sorridere in segreto; oltre che preoccuparsi in santa pace nel decidere come comunicare la notizia. Ma lui, ovviamente del tutto immune a pensieri improntati da cotanta delicatezza, la sospinse verso la Sala d’Ingresso, spingendo di lato, senza darsi pensiero, un nugolo di bambine del primo Ravenclaw che si ritrassero strillando.
    - Draco, aspetta! -
    - Che cosa c’è? – domandò lui senza voltarsi.
    - Aspetta! -
    Piantò i piedi per terra ricordando a se stessa una specie di mulo recalcitrante e lui fu costretto a fermarsi. La guardò, con l’aria di chi invoca la pazienza all’Alto dei Cieli – Che ti succede? –
    Cercando di scegliere con cura parole che non lo offendessero domandò dolcemente – Posso togliere l’anello e rimetterlo dopo? –
    Lui incrociò le braccia sul petto e la guardò, vagamente scocciato – Ti crea imbarazzo per caso? –
    Lei si affrettò a scuotere la testa – Ma certo che no! – rispose – Vorrei solo tenere la cosa per me per un poco, prima di dirlo agli altri –
    Draco sollevò un sopraciglio e lei frugò ansiosamente la sua espressione cercandovi altre tracce di contrarietà. Il ragazzo però si limitò a piegare le labbra in un sorrisetto sardonico – In altre parole vuoi essere la sola testimone dell’infarto di Potter e di Weasel – sogghignò – Questo si chiama autentico egoismo –
    Lei gli rivolse un’occhiata esasperata – Per favore, non complicare le cose. Devo riuscire a parlare ai miei amici con calma –
    Draco si strinse nelle spalle – Avevo previsto che sarebbe successo. Va bene, toglilo pure -
    Siccome da che mondo è mondo a Ippogrifo donato non si guarda in bocca, Hermione non si interrogò su quell’improvviso, quanto sospetto, attacco di comprensione, e afferrò l’anello per sfilarselo dal dito.
    Nulla, non ne voleva sapere di venir via.
    Rimase a contorcersi, con entrambe le mani dietro la schiena, davanti alla porta della Sala Grande mentre Malfoy l’aspettava con una smorfia che minacciava da un momento all’altro di trasformarsi in una risata, imprecando mentalmente di avere le dita gonfie come salsicce.
    - Tutto bene? – si informò lui, educatamente, mentre Susan Bones e Justin Finch-Fletchley li superavano gettando all’indirizzo di Hermione un’occhiata curiosa.
    - Sì, ho quasi fatto -
    Aveva quasi fatto un cavolo, pensò mentre afferrava il pesante cerchio di platino cercando di tirarlo con tutte le sue forze. Perse la presa e il gomito destro le scattò all’indietro.
    - Ouch! -
    - Oh! Scusa, Neville! -
    Neville Paciock, mormorando che non era nulla, entrò in Sala Grande piegato in due e tenendosi lo stomaco con entrambe le braccia.
    - Andiamo -
    - Un attimo! -
    Riprovò ma l’anello sembrava saldamente ancorato al suo dito, arrivava alla prima nocca e poi si bloccava.
    - Non riesco a toglierlo! -
    - Forse perché hai le dita sottili e delicate come quelle di Tiger – replicò lui in tono leggero, afferrandola per il braccio destro.

    ***


    Il cicaleccio proveniente dal tavolo di Ravenclaw invadeva tutta la Sala Grande, gareggiando con l’acciottolio delle stoviglie e con gli strilli indisciplinati dei ragazzini dei primi anni. La voce argentina di Tess Steeval – in magliettina rosa caramella con la scritta Celestina e, sotto, LoveEater, MangiAmore – si diffondeva per tutto l’ambiente in una rapita descrizione dell’ultimo concerto della Warbeck.
    Stava appunto illustrando coloritamente che cosa era successo quando Celestina si era fatta levitare sulla folla e i fans scatenati l’aveva tenuta in aria a colpi di bacchetta e poi quando, attaccati i primi accordi della ballata conclusiva, Cruciatus Passion, si era sentito un coro di “lumos” e tutti avevano alzato le bacchette illuminate muovendole lentamente a ritmo di musica.
    Le altre Blue Ladies l’ascoltavano pazientemente, aggiungendo di tanto in tanto qualche commento, Anthony Goldstein giocherellava con la roba che aveva nel piatto e aveva tutta l’aria di comprendere perfettamente che cosa potesse indurre una persona a comporre una canzone dal titolo “Cruciatus Passion”.
    Tess Steeval gli rivolse, di nascosto, un’occhiata tenera di cui lui non si accorse, quindi la ragazza decise che era arrivato decisamente il momento di dare una svolta alla situazione. Lasciò spaziare pigramente lo sguardo per tutta la Sala Grande e si soffermò sul tavolo di Slytherin: Daphne Greengrass, con un’espressione stranamente mite in faccia, ascoltava Blaise Zabini che le parlava sottovoce. Nessuno dei due sembrava ricordarsi di avere un piatto davanti e, non lontano da loro, le piccole del fan club di Zabini si torcevano le mani e soffocavano singhiozzi nei tovaglioli.
    Dopodiché, la ragazza spostò gli occhi su una curiosa scenetta che si stava tenendo sulla soglia della Sala Grande.
    Draco Malfoy stava guardando Hermione Granger, ferma sotto l’architrave, che si agitava abbastanza da richiamare l’attenzione di chiunque entrasse e da bloccare inesorabilmente il traffico. Il giovane, con le braccia incrociate sul petto, affettava la solita espressione di tediato distacco, ma quando si voltò per un attimo, Tess vide che si premeva il dorso della mano sulle labbra come per trattenere una risata folle.
    Hermione Granger lo fulminò con un’occhiata che avrebbe abbassato di trenta gradi la temperatura dell’Inferno, sintomo sicuro che tra loro due le cose andavano a gonfie vele.
    Di molto rincuorata e ormai perfettamente consapevole di quanto doveva fare, Tess si sistemò i capelli con la mano e si alzò. Mentre si spostava verso la soluzione a tutti i suoi problemi sentimentali, si tirò la magliettina sui fianchi, col solo risultato di abbassala sulla scollatura di almeno quattro centimetri buoni, cosa che la popolazione maschile assiepata in Sala Grande non mancò di notare.
    Dopodiché si fermò davanti al tavolo del Gryffindor con un sorriso radioso tutto per Ronald Weasley.
    Il Re, che con un braccio era occupato a dare un’affettuosa stretta al collo del suo migliore amico – ormai cianotico – e con l’altra mano a ficcarsi tranquillamente in bocca una forchettata di patatine, alzò la testa di scatto guardando la ragazza con la bocca spalancata.
    - Ciao Ronald –
    - Ciao Tess –
    La mano che teneva la forchetta continuò il suo percorso e una notevole quantità di patatine unte gli finì nel colletto della camicia.
    Per levarsi di dosso le patatine in tutta fretta, abbassò la forchetta sul piatto e lasciò andare Potter che cominciò a tossire furiosamente.
    Senza guardarlo e continuando a sorridere a Tess, Ron gli allungò due pacche affettuose dietro le spalle, strappando al Ragazzo (Forse-Ancora-Per-Poco) Sopravvissuto un ululato di dolore.
    - Ron – sbottò Harry – Ma stai cercando di uccidermi? -
    - Perché dovrei? – rispose quello, indignato – Soltanto perché ti sei messo con mia sorella? Harry hai un po’ di purè sul naso… – aggiunse allungando premurosamente una mano verso la faccia dell’amico.
    Prima che Potter riuscisse a scansarsi le nocche del suo migliore amico cozzarono con una certa energia contro il suo naso.
    Senza badare al gemito sofferente dell’amico né all’occhiata assassina della sorella, Ronald Weasley riportò la sua intera attenzione su Tess Steeval, che attendeva educatamente che i Gryffindor esaurissero i loro slanci affettuosi.
    - Posso fare qualcosa per te? – le domandò alzando una mano per passarsela trai capelli e ottenendo così tre scopi: ravviarsi le chiome, gonfiare il petto e contrarre in maniera seducente il bicipite.
    - Per la verità sì – il sorriso di Tess si allargò.
    Al tavolo di Ravenclaw, pur non riuscendo a sentire cosa Tess stesse dicendo, tutti stavano seguendo la scena con una certa curiosità.
    - Scusa ma che sta facendo? – domandò Anthony Goldstein, vagamente perplesso.
    Jalice Love lo guardò stupita per una domanda così ingenua – Ma mi sembra ovvio, no? – disse, - paziente – Sta chiedendo a Weasley di mettersi con lei –
    - Che cosa? –
    Anthony lasciò cadere la forchetta nel piatto e, voltandosi di scatto, diede una gomitata al bicchiere che cadde addosso a Terry Steeval il quale, da parte sua, era troppo occupato a spalancare la bocca per accorgersi di avere i pantaloni inondati di succo di zucca – Eh? – gemette, debolmente.
    Reese Hewitt annuì un paio di volte – Ma naturale – commentò – Avrete notato anche voi che cosa è successo sia a Daphne Greengrass che a Hermione Granger. Weasley beh …è una specie di Filtro d’Amore vivente
    Non aveva nemmeno finito di parlare che Anthony si era alzato e adesso correva a precipizio verso il tavolo di Gryffindor.
    - Nemmeno un minuto – commentò Jalice.
    - Per la Greengrass sono occorsi dei mesi, per la Granger anni – disse Reese, sotto lo sguardo incredulo di Terry Steeval.
    - Weasley comincia a essere efficace anche nel breve periodo –
    - Già –
    Jalice Love sorrise, fissando amorevolmente Anthony Goldstein che, infuriato, trascinava Tess fuori dalla Sala Grande.
    – Sapevo che Tessie sarebbe uscita dall’impasse in modo brillante. E’ così intelligente lei! –

    ***

    - Allora com’è andata? -
    Nessuna risposta, evidentemente Malfoy non era in vena di confidenze, però sogghignò.
    - Le hai offerto le pecore? -
    Questa volta, miracolosamente, venne degnato di un grugnito.
    - Non hai seguito il tuo istinto, vero? -
    Blaise Zabini si tolse un granello di polvere dalla spalla e andò a sedersi vicino all’amico, in una zona tranquilla del tavolo di Slytherin.
    - Invece l’ho fatto -
    Apparentemente annoiata, la voce di Malfoy non celava una certa soddisfazione.
    - Quindi l’hai colpita in testa con la bacchetta e l’hai trascinata per i capelli nella tua caverna? –
    - Qualcosa del genere –
    - Ci vuole un brindisi -
    Blaise Zabini agitò la bacchetta in aria e materializzò due calici di champagne.
    - Ai tuoi modi raffinati -
    - Ma che diavolo sta facendo? – domandò una voce rauca.
    Daphne Greengrass si era avvicinata in silenzio e con perfetta noncuranza aveva posato due dita sul braccio di Blaise, Draco sollevò esageratamente le sopraciglia e fece un sorrisetto ironico che gli altri due finsero di non vedere. Blaise fece apparire un calice di champagne anche per Daphne, che lo vuotò in un sorso guadagnandosi un’occhiata di biasimo da parte del compagno.
    - La Granger – specificò Daphne – Perché diavolo si agita così? -
    Hermione Granger si era fermata a qualche metro dal tavolo di Gryffindor e teneva dietro la schiena entrambe le mani impegnate in un lavorio frenetico. I suoi compagni di casa, nel mentre, le lanciavano sguardi piuttosto perplessi.
    - Sta cercando di eliminare le prove del reato, immagino – rispose Zabini aggrottando la fronte.
    Lo sguardo pungente di Daphne Greengrass corse dalla Granger alla faccia di Malfoy che non riusciva a nascondere un ghignetto gongolante.
    - Malfoy, dimmi che non l’hai fatto – disse infine, incredula, dopo un lungo minuto di silenzio – Dimmi che quella patacca luccicante che ha al dito non è quello che credo -
    Malfoy rise e l’ulteriore osservazione da parte di Daphne fu sfiorare con la bacchetta il suo bicchiere che immediatamente si riempì di una generosa razione di Firewhisky. La ragazza si portò alle labbra il bicchiere con un gesto esperto del gomito e si scolò il contenuto così velocemente che sembrò lo avesse fatto Evanescere.
    - A Ronald prenderà un colpo -
    Se non altro, il Firewhisky l’aveva messa nella giusta disposizione d’animo per trovare rapidamente il lato positivo della faccenda.
    Malfoy emise un sospiro felice – Anche a Potter –
    Al tavolo di Gryffindor la perplessità aumentava: Ronald Weasley aveva notato il sospetto contorcersi dell’amica e adesso la guardava allarmato chiedendosi sicuramente se si trattava di qualche grave effetto collaterale della vicinanza di Malfoy; Harry Potter si stava massaggiando la mascella con una smorfia di dolore, ancora beatamente ignaro, Piattola Weasley invece aveva l’aspetto di chi ha appena drizzato le antenne e ha inoltre subodorato qualcosa di losco, il solito atteggiamento da insetto mutante, insomma.
    - Qualcosa mi dice che la bomba esploderà quanto prima – commentò Zabini, osservando la scena con l’interesse accademico che avrebbe riservato a un recinto pieno di tarantole giganti.
    Il sorriso beato di Malfoy arrivava da un orecchio all’altro.
    - Già -
    Blaise agitò di nuovo la bacchetta - Ci vuole qualche stuzzichino – disse facendo apparire un vassoio d’argento colmo di tartine.
    La Granger, a quanto sembrava, aveva rinunciato all’impresa: lasciando cadere entrambe le braccia lungo i fianchi, avanzò verso il tavolo della sua Casa a testa alta, pronta ad affrontare qualcosa davanti alla quale anche Godric Gryffindor sarebbe scappato a gambe levate, chiedendo asilo politico al vecchio Salazar.
    Immediatamente lo sguardo di Potter - uso come quello di una ignobile gazza ladra a cogliere qualsiasi cosa luccicasse, anche i Boccini d’Oro, pensò acidamente Malfoy - saettò verso il basso, poi il ragazzo si alzò in piedi fissando la sua migliore amica con gli occhi sbarrati. Miracolosamente, forse per la prima volta in vita sua, riuscì a fare due più due con una rapidità sconcertante.
    Due secondi dopo si accasciava sulla sedia premendosi una mano sul petto e ansimando visibilmente.
    - Un infarto -
    Draco Malfoy esalò quel commento col volto trasfigurato dalla felicità: se dal tavolo di Slytherin stavano leggendo correttamente il labiale, il Ragazzo Infartuato, lo sguardo assente e il viso bianco come la sua camicia, stava meccanicamente invocando Nostro Signore in una supplica straziante che avrebbe commosso forse anche Piton.
    Al suo fianco Ron Weasley pronunciava a sua volta il nome di Dio invano, ma in tono completamente diverso, tanto che Lavanda Brown e Calì Patil lo avrebbero guardato profondamente scandalizzate come al solito, se non fossero state concentrate a fissare Hermione con gli occhi spalancati e le mandibole in caduta libera verso il pavimento.
    Ginevra Weasley si alzò e fece rapida il giro del tavolo. Hermione le rivolse uno sguardo fermo e tranquillo, quando la ragazza le prese la mano sinistra portandosela a un centimetro dagli occhi. Dopodiché Piattola Weasley sembrò sparare rapidamente una domanda che ebbe in risposa un deciso cenno di assenso.
    Gemiti luttuosi al tavolo di Gryffindor, Ron Weasley e Harry Potter si scambiarono sguardi terrorizzati, Lavanda Brown e Calì Patil si alzarono a precipizio per andare a perdersi trai tavoli e, presumibilmente, a rendere democraticamente partecipe tutta la Sala Grande delle ultime novità.
    Harry Potter però non era notoriamente tipo da perdersi d’animo: balzò in piedi e si lanciò verso Hermione Granger, le afferrò una spalla le sventolò una mano davanti al viso, come per controllare i suoi riflessi; poi chinò la faccia verso la sua e la scrutò attentamente negli occhi.
    Deciso a dare il suo contributo, il Re le puntò addosso la bacchetta e ruggì – Finite Incantatem! -
    - Ma che diavolo stanno facendo? – domandò Daphne mangiucchiando una tartina.
    Blaise Zabini piegò il capo verso la spalla – Ritengo – sentenziò in tono meditabondo – Che stiano cercando di capire se è sotto Imperius –
    Malfoy smise di sorridere di botto, come se si fosse reso conto, dopo tanto faticare, di aver avuto sottomano una soluzione molto più semplice ai suoi problemi.
    Oltre la figura imponente di Weasley che, rosso in faccia, continuava a strillare – Finitus …Finitus! – incontrò lo sguardo della sua fidanzata.
    Era furiosa e lo guardava in maniera tale che non si sarebbe stupito di veder comparire un lampo di luce verde e di cadere al suolo stecchito.
    Era normale che si fosse accorta di cosa aveva fatto, pensò lui, del resto il vecchio Salazar Slytherin insegnava ai suoi protetti a fare le pentole, non i coperchi.
    - Non mi sembra che la Granger sia animata da un intenso amore coniugale, in questo momento – commentò Blaise – Secondo me sta per lanciarti un’Avada Kedavra. Le hai fatto qualcosa di brutto? A parte comunicarle che l’avresti sposata, intendo -
    Draco Malfoy non gli prestò attenzione, stava sollevando il bicchiere nel lieve accenno di un brindisi, un sorriso lontano e misterioso gli incurvava le labbra, come se stesse guardando qualcosa di molto lontano.
    Forse promesse spezzate e mantenute a forza di inganni, la ragnatela impalpabile che le aveva tessuto attorno e nella quale lei aveva scelto di entrare, cosciente, guardandolo negli occhi con quella calma che non conosceva rassegnazione. Anelli di catene, diamanti a forma di stelle, guance accese e occhi sfolgoranti d’ira che lui avrebbe fatto bruciare presto di altro fuoco; il disprezzo e la rabbia coltivati amorevolmente per anni, poi l’emozione che li aveva spezzati entrambi. Il Serpente avvolto nella pelle del Leone che lo aveva sconfitto, le spire arrestate sotto il tallone di una donna; duelli e rose assassine, orgoglio e peccati originali. E infine soltanto quello che incendiava, in quell’istante, la sottile linea d’aria che correva, trai loro occhi, da un capo all’altro della sala.

    And who knows
    What evil lurks
    In the hearts of men today

    Pandora’s Box, Original Sin


    La Sala Grande era un lago d’oro che le palpitava dolcemente intorno, nel riverbero dei bicchieri e dei calici, di mille candele che danzavano sul soffitto accendendo riflessi sulle teste curiose voltate verso di lei; fiocchi di neve, scendevano lenti dalla volta del soffitto incantato, svanendo a mezz’aria nell’atto di confondersi con le fiammelle, catturandone la luce e riflettendola, come manciate di coriandoli aurei. Il brusio ovattato, che rapidamente acquistava volume e consistenza, premeva le orecchie come il ronzio di api al sole intorno a un favo di miele, dolce, insistente.
    Al di sopra di quella distesa indistinta di sguardi e di voci i suoi occhi finalmente lo trovarono.
    Draco Malfoy aveva raggiunto il suo scopo, dimostrare a tutti a chi lei appartenesse e nel più breve tempo possibile; era riuscito a fare in modo che i suoi rivali di sempre non potessero avere dubbi sulla cosa e che recepissero il messaggio nella maniera più traumatica possibile.
    Ron e Harry, infatti, sembravano aver preso contatto con la realtà, nel senso che erano accasciati sul tavolo, distrutti, gli sguardi spenti persi nel vuoto. Ginny, sembrava fortemente indecisa tra il lamento funebre e la grassa risata: con la faccia di chi si impone eroica pazienza e allo stesso tempo sogna un bagno in cui rinchiudersi a fumare, teneva una mano di Harry dandogli dei colpetti rassicuranti che però lui sembrava non avvertire nemmeno.
    Draco l’aveva gettata nella fossa dei Leoni e adesso si stava alzando, vigile e risoluto, senza smettere di guardarla, come se solo quello sguardo imperioso che l’avvolgeva fosse sufficiente ad allontanarla dalla portata degli altri, dalla loro curiosità, dalle loro voci invadenti.
    In quell’intervallo di tempo, diverso e separato da quello degli altri, cominciò ad avanzare verso di lei, lo sguardo fisso nel suo, al di sopra del bisbigliare incredulo e della curiosità malcelata. Sembrava aver atteso solo lo scoccare di un altro secondo, quel lieve rintocco di un pensiero nella mente, per prenderla e portarla via lontano da tutto.
    Ancora una volta.
    Le labbra curvate in un sorriso impertinente, occhi innamorati e mani da padrone, tutto quello che in lui parlava di grazia e di violenza.
    Hermione scosse il capo per scacciare quel riverbero accecante che le appannava la vista e per schiarirsi lievemente i pensieri, poi guardò l’anello – cascate di stelle che si riversavano sulle sue dita – per ricordarsi perché fino a un minuto prima aveva deciso di procurarsi anzitempo lo stato di vedovanza.
    I dubbi dovevano sorgerle quando Draco si era mostrato così disponibile al fatto che lei tenesse per un poco la notizia per sé, in modo da trovare la maniera più delicata di dirlo agli altri e, soprattutto, quando le aveva detto di avere previsto un comportamento del genere da parte sua.
    Il cerchio di platino che aveva provocato tanto scompiglio, le scorreva intorno all’ anulare cosparso di stelle, adattandosi docile alla forma delle dita, ma quando cercava di sfilarlo non oltrepassava l’articolazione.
    Mai fidarsi dei Serpenti.
    Maledetto Malfoy.
    Aveva stregato l’anello.


    Edited by .polaris - 31/7/2009, 20:51
     
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